Secondo quanto affermano le ultime stime compiute da Sace, il 2016 che si è appena concluso è stato per l’internazionalizzazione dell’Italia un anno non completamente positivo. Per quanto concerne ad esempio il lato export, i flussi commerciali che dall’Italia hanno preso la via estera sono cresciuti di +0,2 punti percentuali nei primi dieci mesi dell’anno, rispetto a quanto non fosse avvenuto dieci mesi prima, anche se Sace ipotizza che l’intero esercizio si sia chiuso con una performance compresa tra +0,5 e +0,8 per cento. Una crescita lenta, pertanto, come avvenuto anche nel 2013, ma molto lontana da quel +3,9 per cento che era stato messo a segno dall’export italiano nel 2015, quando il Paese riuscì ad andare più veloce della media del commercio mondiale, il cui tasso di incremento complessivo, secondo la Wto, fu del 2,8 per cento.
Pertanto, il 2016 sembra essere andato in archivio con una progressione peggiore della media globale degli scambi, che si stima sia cresciuta dell’1,7 per cento.
Ma che cosa non ha funzionato nell’export italiano? Secondo la stessa Sace, uno dei principali colpevoli sono gli Stati Uniti, che nel 2015 furono i massimi protagonisti dell’export italiano, con un incremento del 21 per cento. Di contro, nei primi dieci mesi del 2016 le vendite italiane negli Usa hanno fatto segnare soltanto un +0,4 per cento.
Tra gli altri indiziati spiccano il Regno Unito, dove sembra essere venuta meno la fiducia degli operatori, la Turchia (dove la contrazione dell’export italiano è del 5,7 per cento nei primi dieci mesi dello scorso anno) e la Russia. E il futuro? Il 2017 sembra aprirsi con tanti nodi da sciogliere, con l’impressione che non sarà affatto facile, per l’export italiano, chiudere con un segno positivo.