Una cosa sembra certa, dall’evoluzione Brexit: nell’ipotesi di un’eventuale uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, sarebbe il settore bancario – e non solamente quello britannico – quello più danneggiato nell’immediato. A confermarlo non solo tutti gli analisti di mercato, quanto anche – implicitamente – la crescente attenzione con cui le autorità di vigilanza stanno valutando con particolarmente attenzione l’evoluzione dei maggiori istituti di credito, e la loro complessiva “tenuta”.
L’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea potrebbe inoltre spingere alcuni istituti di credito a lasciare la Gran Bretagna, preferendone l’Irlanda, la Germania o il Lussemburgo. Non solo: secondo gli analisti, vi sarebbe il contemporaneo rischio di contagio, posto dallo stesso veicolo che ha fatto sorgere la lunga e profonda crisi dei mutui subprime negli Stati Uniti, gli Abs, le cartolarizzazione.
In un contesto di questo tipo, le banche britanniche affrontano da diverso tempo il grave peso della crisi. Stando a quanto ricordava Moody’s, ad esempio, gli spread dei bond bancari, ovvero il differenziale che riflette il costo della loro raccolta, a inizio maggio era cresciuto di 30 punti base rispetto a quanto non fosse avvenuto a inizio anno.
Infine, tornando agli Abs, gli osservatori ritengono che la Brexit possa cusare anche un contagio globale, rendendo i bond garantiti dalle cartolarizzazioni britanniche intuilizzabili per il c.d. “liquidity coverage ratio”, l’indice di liquidità obbligatoria a 30 giorni, già previsto dagli accordi di Basilea. Gli accordi prevedono che il sottostante dei bond ammessi come strumenti di liquidità sia originato in uno Stato membro UE, e se la Gran Bretagna dovesse uscire dall’UE, alcuni bond non sarebbero dunque più ammessi…